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IL VINO

N.B. "Puoi anche copiare questo testo ma chiedi almeno il permesso".

"Vino" ha origine dalla parola sanscrita "vena" formata dalla radice ven (amare), la stessa delle parole Venus, Venere. Il vino è dunque, da sempre, strettamente legato all'amore, alla gioia di vivere, bevanda capace di rilassare il corpo, inebriare i sensi, liberare l'istintività dell'uomo, facilitare lo scambio con l'altro, ma anche mettere in contatto l'uomo con il soprannaturale. Nettare la cui assunzione rende gli uomini simili agli dei, nella grecità; parte integrante del rito della messa, nella cristianità.

L'origine del vino si perde nella notte dei tempi. Come per il fuoco, così anche per il vino, la sua invenzione fu del tutto casuale. L'uomo della preistoria scoprì per caso che il succo d'uva dimenticato in un recipiente di pelle, a causa dell'alta temperatura, aveva subito una magica trasformazione, dagli esiti sorprendenti e per niente malvagi. Anzi. Il gusto era buono e gli effetti inebrianti. Le prime tracce della coltivazione della vite (una pianta che nasce molto prima dell'uomo) si trovano in Asia minore, nelle terre tra il Tigri e l'Eufrate. Ben nota è nella tradizione ebraico-cristiana la figura di Noè (genesi) che appena uscito dall'arca pianta una vite e  si ubriaca del suo vino. Erodoto li descrive in preda all'ubriacatezza più sfrenata mentre festeggiano il plenilunio. I vini allora erano in gran parte rossi, venivano conservati in anfore e pratica modernissima per i tempi "il produttore" apponeva un siggillo con l'anno della vendemmia: un primo tentativo di invecchiare il vino. Con l'emergere della civiltà greca, i metodi di vinificazione si perfezionano e l'ubriacatezza assume un carattere sacrale, tanto da riservare nell'Olimpo delle divinità un posto importante proprio al Dio del vino, Dioniso, figlio di Zeus. Anche in Italia, allora chiamata Enotria (terra della vite), fiorisce nelle colonie la civiltà del vino: a Sibari, in Calabria, viene costruito addirittura un enodotto, cioè un condotto di argilla che convoglia il vino verso il porto dove viene imbarcato. Dai Greci il vino si diffonde ai Romani. Il vino di Roma a poco a che fare con quello a noi noto e molto probabilmente non incontrerebbe il nostro gusto: i Romani lo bollivano per conservarlo meglio e così si trasformava in un liquido denso e sciropposo di alta gradazione e di sapore dolce. Lo allungavano sempre con acqua (in latino mescere significa mescolare), talvolta con quella di mare, per renderlo meno denso e meno acido. Le mense più ricche avevano un esperto che decideva di volta in volta, e a seconda del menù, quali fossero le percentuali di vino acqua da mescolare. Tra i più ricchi era apprezzato il "mulsum", o vino con il miele, ed era normale addolcire o speziare il prezioso nettare di Bacco con zucchero di canna, resina, pepe, sale, petali di rose e di viole, cannella, zafferano, aloe e sambuco. Il vino venica conservato in recipienti di terracotta rivestiti di pece tenuti vicino alle canne fumarie, e questo conferiva al vino un gusto affummicato. Se era troppo scuro si lo si chiarificava con albume o addirittura con il gesso. Solo gli uomini potevano bere questa "delizia", rigorosamente vietata alle donne. Nel frattempo i Galli creano uno strumento che rivoluzionerà per sempre la conservazione del vino: la botte di legno. Nel Medioevo saranno i monaci benedettini e cistercensi a tenere in vita la cultura del vino e a darle nuova linfa: produrre quel nettare parte integrante del rito della messa - equivale a diffondere il messaggio di Dio: per questo nei campi di Chiese, Abbazie e Monasteri "spuntano" le viti. E non a caso il vocabolario vitivinicolo è ricco di termini monastici e molte DOC hanno preso il nome da ordini religiosi (ad esempio Chateauneuf-du-Pape). Sono i monaci che inventano nuovi uvaggi e sperimentano nuove tecniche (è un benedettino italiano a creare il metodo della rifermentazione in bottiglia, poi ripreso da Dom Pèrignon, l'inventore dello Champagne). Certo è ancora un vino "a metà": proviene da miscele di uve bianche e rosse, e non supera l'anno di conservazione. Ma è il consumo che sta cambiando, e il bevitore che lo sorseggia nelle osterie di città comincia ad apprezzarlo senza bisogno di allungarlo. Con il Rinascimento, i mercati olandesi, inglesi e veneziani trasportano per nave migilaia di ettolitri di vino, mentre i grandi Chateaux di Bordeaux cominciano a produrre i grandi vini di pregio e a conquistarsi la fama. Anche nel nuovo mondo appena scoperto nascono i pionieri del vino. I conquistadores si sono accorti che il vino non regge la taversata, e per risolvere il problema portano con se le talee di viti europee, per impiantarle sul suolo americano. ma la vera epoca d'oro del vino è il Settecento. Il secolo dei Lumi darà grande impulso alle tecniche di produzione e alla conoscenza del vino: viene inventato l'imbottigliamento con il tappo di sughero (fino ad allora la bottiglia veniva tappata con piccoli legni avvolti da stracci imbevuti nell'olio o legati da una colta di cera); viene messa a punto la tecnica Champenois; vengono studiati i lieviti e lo zolfo e inventati i torchi. Nasce la leadership della Francia, che diffonde in tutto il mondo i suoi grandi vini di Bordeaux e della Champagne. Ormai si piantano vigneti in tutto il mondo. Purtroppo un grande nemico della vite, fino ad allora sconosciuto, e sbarcato dal Nuovo continente con un battello a vapore, causerà danni gravissimi: siamo nel 1850, e il nemico del vino si chiama FILOSSERA. E' un afide micidiale che divorerà le viti europee per quarantanni e impegnerà i vignaioli in una lotta tragica e costosissima. La battaglia contro la peste della vite sarà vinta solo nel 1910 da un francese che individuerà il rimedio: innestare le viti europee su ceppi di vite americana. Numerose varietà di uva, probabilmente anche pregiatissime, sono però scomparse per sempre dai vigneti europei. La mappa dei vitigni non è più la stessa, ma il vino è salvo, e arriva intatto fino alle nostre tavole. 

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